Be calm and count to seven
Diretto dall’esordiente Ramtin Lavafipour, iraniano classe 1973 laureatosi in regia presso la IRIB University di Tehran e già autore di diversi documentari e cortometraggi, s’intitola in patria "Aram bash va ta haft beshmar" il lungometraggio vincitore del Festival di Rotterdam 2009, ambientato in un piccolo villaggio della nazione d’origine del suo regista.
Un piccolo villaggio nelle vicinanze di un porticciolo dove un contrabbandiere di mezza età, desideroso di ritrovare la donna che ama e frustrato in quanto in contatto con lei soltanto attraverso il telefono, vive con il rimpianto di non aver potuto darle ciò che avrebbe voluto, mentre rifornisce gli abitanti di cibo e beni di qualsiasi tipo. Fino al momento in cui la sua strada s’incrocia con quella di Motu, ragazzino quasi adolescente che nutre una passione sfrenata per Ronaldinho tanto da voler diventare un calciatore professionista come lui, ma il cui desiderio più grande, camuffato dietro il volto da bambino cresciuto troppo in fretta, è quello di ritrovare il padre, scomparso in mare alcuni giorni prima.
E’ quindi sulle esistenze parallele di questi due personaggi che Lavafipour costruisce i circa 89 minuti di visione il cui serrato avvio, caratterizzato da un veloce montaggio – curato da lui stesso – e da una macchina da presa che insegue i soggetti in corsa presenti all’interno della sequenza, già testimonia una certa padronanza del mezzo tecnico.
Perché, al di là dei convincenti elementi del cast, da Hedayat Hashemi a Mahnaz Talandeh, passando per Omid Abdollahi, è proprio la bella regia il vero punto di forza dell’operazione, impreziosita anche dalla curata fotografia di Reza Teymouri.
Fotografia che sembra quasi conferire il dono della parola ai rocciosi ed aridi paesaggi desolati, quando a parlare non sono i protagonisti, testimoniando in un certo senso le passate esperienze in ambito documentaristico del regista, che sfrutta a dovere anche la presenza di un mare spesso silenzioso.
Fino all’epilogo di una vicenda dai toni altamente tristi che, forse non adatta a tutti i palati di spettatore occidentale, sfoggia in ogni caso le fattezze di apprezzabile biglietto da visita di un nuovo autore iraniano da tenere d’occhio.

La frase: "Voglio diventare come Ronaldinho".

Francesco Lomuscio

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